Un'azienda con 70 trilioni di collaboratori
Siamo solo noi l'unico l'azionista della nostra impresa Corpo&Cervello, siamo sempre solo noi l'unico architetto che decide come vivere.
L’azionista non lo sa. O magari lo sa, ma non ci crede. Oppure ci crede, ma non ci pensa, non abbastanza. O, ancora, può darsi che lo sappia, ci creda, e che ogni tanto ci pensi, ma non lo sente.
L’azienda che dirigiamo ha un consiglio d’amministrazione composto da una settantina di trilioni di individui.
La Corpo&Cervello ha un’organizzazione che tiene conto delle istanze di tutti i membri, a ogni livello; ascolta chiunque, tiene traccia di qualsiasi memo, reclamo, suggerimento, per quanto strampalato possa essere. Dalla mattina alla sera, anzi, per essere precise, da una mattina all’altra e senza sosta, ci occupiamo del budget. Anche con le serrande chiuse, mentre buona parte dell’organizzazione è a riposo, non facciamo altro che fare, adeguare e rifare il budget. Il tutto e sempre nel nome del risparmio. Il turnover è altissimo: ogni giorno, nuovi membri si uniscono alla nostra azienda; contemporaneamente, ogni giorno, ogni ora, ogni singolo minuto, milioni di noi cedono e se ne vanno per sempre.
Qualcuno molla. Qualcun altro impazzisce. C’è addirittura chi rema contro, e a un certo punto cerca di prendere il controllo.
Le minacce sono continue. La tensione è costante. Il “rumore” quasi insostenibile. E questo da quando esistiamo.
Addirittura prima che emettessimo il nostro primo vagito, abbiamo affrontato trilioni e trilioni di istanze.
Abbiamo fronteggiato miliardi di nemici.
Dopo una gestazione di quasi quaranta settimane, passando da un solo elemento a diversi trilioni, in poche ore, abbiamo perso la nostre fonte di sostentamento e ci siamo trovate sole, al freddo e al gelo. Il trauma è stato così forte che abbiamo temuto di non farcela. Ma è andata bene, non solo siamo sopravvissute: siamo anche state così fortunate da trovare altre fonti di nutrimento e sopravvivenza.
Ci siamo moltiplicate e specializzate.
Abbiamo imparato a muoverci nel mondo, ad alzare la testa, aprire gli occhi, e osservare. A orientarci. A decifrare i messaggi. Abbiamo scoperto che per ottenere risorse, dovevamo prima avere l’attenzione di chi poteva darcele. E, quindi, abbiamo trovato il nostro modo per ottenere tale attenzione.
Abbiamo imparato a chiedere, scoprendo che certi modi di chiedere attenzione funzionavano, e altri no. Abbiamo tenuto traccia di ogni singola azione e del relativo effetto, segnandoci tutto, ma proprio tutto, comprese le cose che ci portavano meno benessere, o addirittura disagi, magari mettendoci nei guai, esponendoci al rischio di essere abbandonate. Poiché per noi, essere abbandonate significava morte certa, abbiamo imparato a piacere agli altri.
All’epoca, intorno a noi, c’erano pochissimi “altri”. All’inizio, solo uno, per essere oneste, lo stesso dal quale ci eravamo dovute staccare nell’entrare in società.
Col passare del tempo, gli altri sono aumentati e noi ci siamo adeguate, replicando le azioni che avevamo codificato come più efficienti, quelle stesse che noi avevamo scelto di ripetere e ripetere e ripetere, fino a memorizzarle. Fino a farle nostre. Fino a trasformare azioni e comportamenti in una sorta di codice che oggi racconta al mondo “chi siamo”, in altre parole, la nostra vision, la nostra mission, e la relativa governance.
La vision è un documento che contiene le strategie che abbiamo scelto, compresi i pensieri e i comunicati che emettiamo senza sosta. Comprese - in primo primissimo piano - le emozioni.
La mission è una sola: sopravvivere.
La governance raccoglie tutte le pratiche che ci siamo abituate a compiere nello specifico modo che abbiamo memorizzato come il più efficace e il più efficiente.
Vision, mission e governance si reggono, tutte e tre, sullo stesso cardine: cioè le cose che qui dentro, in questo megagalattico consiglio di amministrazione composto da oltre settanta trilioni di membri, ci siamo abituate a raccontarci.
Peccato che l’azionista non lo senta…
Se lo sentisse, se capisse come stiamo, qui dentro, e come viviamo sul serio, saprebbe che molti dei suoi problemi non sono affatto problemi, e che buona parte degli altri, se non tutti, sono risolvibili.
Architetti e azionisti
La metafora dell’azienda che hai appena letto mi segue più o meno da quando mi sono rimesso a studiare in cerca di soluzioni per tutte le persone che ogni giorno arrivavano da me, in farmacia, e mi chiedevano un aiuto per il loro intestino irritabile.
Nel corso degli anni, questa metafora dell’azienda-corpo-cervello ha preso diverse forme, presentandosi spesso anche come la “torre di controllo” che monitora il nostro bilancio energetico, ogni giorno, dal primo vagito all’ultimo respiro.
Studiando, ho scoperto che corpo e cervello sono parte dello stesso insieme, e ho avuto modo di capire ciò che i primi medici dell’umanità dichiaravano ben prima di averne le prove scientifiche: dentro e fuori, e sopra e sotto1 sono in continua connessione, proprio come lo siamo noi, esattamente come il nostro cervello è connesso ai nostri intestini, il microbiota alle nostre difese immunitarie, alle “performance” - per usare un altro termine che strizza l’occhio al business - perfino all’umore e alle emozioni che ci diciamo di provare.
Quando evitiamo di avvelenarci da soli e quindi riusciamo a nutrirci bene, quando dormiamo a sufficienza, quando ci alziamo dalle nostre poltroncine ergonomiche, godiamo della luce del sole e ci muoviamo, quando facciamo cose che ci fanno sentire produttivi, quando ci sentiamo amati, quando amiamo, quando respiriamo bene, quando ci vogliamo bene, il nostro corpo e il nostro cervello vanno alla grande. E le emozioni che sentiamo di provare sono piacevoli, anzi stupende.
Viceversa, quando siamo stanchi, quando lo stress è cronico, quando il nostro cibo è spazzatura e i pensieri trappole che ci soffocano, quando il tempo ci assilla, e le nostre relazioni soffrono, l’azienda “corpo-cervello” va in crisi: le azioni perdono valore, le performance calano, e non solo ci ammaliamo, ma viviamo anche gli eventi in modo molto più spiacevole.
In altre parole, da come sta sul serio la nostra azienda “Corpo & Cervello ”, dipende come ci sentiamo noi.
Il mio impegno di questi anni come Gut Brain Coach punta a far sentire alle persone che incontro che sono loro gli azionisti e gli architetti di ogni esperienza.
Perché è vero: siamo noi a decidere cosa mangiare e cosa no, come e quanto muoverci, ridere, dormire, giocare, farci il solletico e i dispetti. Siamo sempre noi che decidiamo (o meglio che “abbiamo deciso”) che significato dare agli eventi che sperimentiamo. Come dice Lisa Feldman Barrett, la stessa di cui parlavo nel mio ultimo post, sempre in tema di emozioni e di relazioni pancia-cervello, “siamo noi gli architetti delle nostre esperienze”.
«Le emozioni non sono integrate nel cervello fin dalla nascita. Sono costruite al volo dal tuo cervello per dare un senso a ciò che sta accadendo nel tuo corpo in relazione a ciò che accade intorno a te nel mondo. La buona notizia è che tu sei l’agente di questo processo di creazione di significato. Sei l’architetto della tua esperienza2».
Se siamo noi gli architetti, se sempre noi siamo l’azionista della nostra azienda, allora dev’essere vero - come scrivevo qui3 - che le cose in cui crediamo e che pensiamo disegnano il mondo per come lo vediamo e viviamo.
L’azionista non lo sa. O magari lo sa, ma non ci crede. Oppure ci crede, ma non ci pensa, non abbastanza. O, ancora, può darsi che lo sappia, ci creda, e che ogni tanto ci pensi, ma non lo sente.
Peccato che, proprio come all’inizio della metafora, pur essendo noi l’azionista della nostra azienda, non lo sappiamo, o magari lo sappiamo ma non ci crediamo. Oppure ci crediamo, ma non ci pensiamo abbastanza, o - ancora - può semplicemente essere che non lo SENTIAMO.
Spoiler: nel prossimo post, proverò a immaginare cosa accadrebbe se, invece, di colpo, potessimo sentire tutto ma proprio tutto quello che succede dentro di noi.
Per saperne di più:
”Come sono fatte le emozioni” di Lisa Feldman Barrett