Placebo: funziona anche quando sai che non dovrebbe funzionare
Un minuto prima stai così male che inizi ad aver paura che sia più grave di quanto pensi. Come d’autunno sugli alberi le foglie. Poi arriva il camice bianco che ti dà una pillola, o quello verdolino che ti fa una flebo e, cinque minuti dopo, è tutto passato.
Puff, come per magia… Ah, il potere della medicina, quella vera…
– Giusto? Era molto forte, vero dottore, quello che mi ha dato?
– Veramente era solo glucosata…
– Acqua e zucchero?!
– Esatto.
Eccolo qui, l’effetto placebo, gemello buono del “nocebo”, di cui vi ho parlato nel post1 della settimana scorsa.
Il placebo è la Shirley Temple dei rimedi che fa la magia: senza saperlo, hai solo preso acqua e zucchero, nessun farmaco dunque, eppure la bua non c’è più.
Ma come la mettiamo se il camice bianco o quello verdolino prima di somministrarti il Placebo, ti dicono che stanno per darti un farmaco-NON-farmaco? Funzionerà lo stesso?
Oppure sapendolo, continuerai a soffrire le pene dell’inferno?
La risposta viene uno studio recente, pubblicato su Applied Psychology: Health and Well-Being.
Un sorprendete studio dimostra che anche le pillole “finte” possono ridurre lo stress
L'effetto placebo è potente, parecchio. Così tanto che ormai sappiamo che per qualcuno assumere una pillola senza alcun ingrediente attivo può comunque portare effetti benefici. Basta che questo qualcuno non sappia che la sua “cura” era solo acqua e zucchero… In altre parole, il placebo può funzionare solo se pensi che non sia un placebo. Giusto?
Per scoprirlo, è stato condotto un nuovo studio.
L’esperimento con il farmaco-placebo
Darwin Guevarra della MSU e il suo staff di ricerca2 hanno cooptato 62 volontari che dicevano di aver vissuto uno stress prolungato durante il lock down. Dopo aver misurato i livelli di stress, ansia e depressione, li hanno divisi nei soliti due gruppetti:
al primo hanno somministrato un placebo per due settimane (dichiarando che si trattava appunto di un placebo, e non di un farmaco);
al secondo una pacca sulla spalla.
Per chiarirci, al primo gruppo hanno detto che per due settimane avrebbero dovuto assumere fibra vegetale inerte (tipo una foglia di insalata formato pillola) per due volte al giorno, tenendo traccia dell’aderenza al trattamento.
Alla metà e alla fine del trial, i ricercatori hanno di nuovo misurato ansia, stress, e depressione.
Il risultato incredibile è che il primo gruppo ha comunque dimostrato una riduzione dello stress, dell'ansia e della depressione. Voglio dire, i 32 mangiatori di insalata sapevano benissimo che NON stavano prendendo un farmaco per la riduzione dei sintomi di cui sopra. Eppure…
Nel pubblicare i loro risultati, ancora prima che la comunità scientifica iniziasse a mugugnare “Eh, ma il campione è irrilevante”, Guevarra e i colleghi hanno subito alzato le mani, dichiarando che ovviamente servono altre ricerche, su campioni più estesi e variegati, nonché studi su periodi di tempo più lunghi.
La domanda comunque resta interessante:
Come è possibile che un farmaco dichiaratamente fuffa funzioni comunque?
La risposta è che i cosiddetti “placebo non ingannevoli” funzionino attraverso tre meccanismi:
le aspettative implicite;
il condizionamento derivante dall'esperienza precedente con il trattamento attivo (cioè un farmaco-farmaco);
la cognizione incarnata.
Qualunque siano i meccanismi esatti, i ricercatori suggeriscono che l'uso di un placebo per trattare le persone che sperimentano uno stress moderato possa comunque aiutare a evitare che tale stress peggiori.
“I placebo non ingannevoli somministrati a distanza hanno il potenziale di aiutare le persone che lottano con problemi di salute mentale e che altrimenti non avrebbero accesso ai servizi di salute mentale tradizionali”, sottolinea Guevarra.
Altri ricercatori sostengono che non ci sono ancora abbastanza prove per utilizzare i placebo per i trattamenti, perché quelle esistenti sono ancora troppo limitate nel numero e nella durata, e poi sono state ottenute su esseri umani, i quali sono per natura complicati da studiare…
Il problema dei placebo (o meglio, il problema della risposta ai placebo) è che chi lo assume non è una macchina, ma un essere umano, cioè una creatura con convinzioni, credenze, aspettative, e tutta una sue serie di film mentali.
Chi crede nella farmacologia per esempio, avrà aspettative diverse da chi ne è orripilato/terrorizzato/disgustato, o ha fede solo nelle virtù taumaturgiche dei distillati di fiori di Debussy.
Non solo. Lo stesso sotto-gruppo umano che chiameremo dei farmacofili, avrà aspettative diverse a seconda delle specifiche esperienze vissute.
Per capirne un po’ di più, servono non umani.
Il punto è che l’effetto placebo è qualcosa di tanto concreto, quanto misterioso. Essendo misterioso, è anche parecchio affascinante, e infatti da anni gli scienziati si spremono le meningi per capire come funzioni e uno studio recente pare abbia trovato una nuova base biologica.
Un team di ricerca dell’Università della Carolina del Nord (UNC), guidato dall’anestesista Chong Chen, ha deciso di usare i topi3. Ne ha presi un tot, e li ha messi in una casetta divisa in due stanze. Poi li ha condizionati ad aspettarsi che una delle due stanze fosse più fresca rispetto all'altra, che era stata riscaldata a 48 °C.
Dopo alcuni giorni di condizionamento, i topi trascorrevano comunque più tempo su quello che era stato il pavimento più fresco, anche quando era stato riscaldato a 48°C.
Gli animali condizionati hanno anche mostrato meno comportamenti di sollievo dal dolore, come alzarsi sulle zampe posteriori e leccarsi le zampe, suggerendo che riuscivano a tollerare la temperatura più alta perché era scattato un effetto placebo di sollievo dal dolore.
Anche se l’effetto può variare, i trattamenti placebo sembrano dunque ridurre (in modo dimostrabile) il disagio o il dolore dei pazienti, anche quando questi ultimi capiscono che si tratta di una finzione. Tali prove fanno pensare che i placebo possano essere somministrati apertamente (in chiaro, dicendo ai pazienti che si tratta di placebo):
per alleviare il dolore;
senza dire bugie;
e comunque evocando un effetto analgesico.
Non solo. Il concetto chiave è che se un placebo dichiaratamente tale funziona lo stesso, allora forse la sua efficacia dipende da qualcosa di ancora più intangibile, come la semplice partecipazione a un rituale medicinale.
Come dire: sei in un ambiente che sa di medicine e profuma di scienze, e anche se ti danno una pillola a base di fibra vegetale inerte, tu ti senti comunque meglio.
Applied Psychology: Health and Well-Being
Lo studio è stato pubblicato su Nature.