Cosa ho imparato guardando mio figlio giocare a pallavolo
Le alzate da risolvere, il muro e l'arte di resistere agli urti della vita
Mio figlio Filippo, sedicenne, dopo aver giocato a calcio fino ai 13 anni, ha deciso di cambiare completamente: non solo sport, ma anche campo, regole e dinamiche di gioco. Ora si dedica alla pallavolo, dove ha scoperto un mondo diverso fatto di nuove sfide e complessità.
E da buon papà-accompagnatore ho dovuto presto “adeguarmi”. Sul calcio ero ferrato, come buona parte dei miei connazionali, ma sulla pallavolo mica tanto: le mie “conoscenze” si limitavano al periodo d’oro della nazionale e alla “generazione di fenomeni”, tra cui Andrea Lucchetta e Lorenzo Bernardi (allenati dal mitico Julio Velasco).
Seguendo Filippo, partita dopo partita, ho cominciato a vedere le differenze. Nel calcio, l’obiettivo è semplice.
Come sintetizzava l’indimenticabile Boskov nel suo tipico stile: “Per vincere partita bisogna fare più gol” e “per segnare bisogna tirare in porta”.
Se fai un goal più degli altri, vinci. Se attacchi bene, segni. E più o meno è tutto.
La pallavolo, invece, non è solo uno sport più “complicato” per le regole, almeno dal mio punto di vista, ma in qualche modo anche più complesso sul piano delle relazioni e di cosa porta punti.
A calcio, se non attacchi, non fai “punto”. A pallavolo, non è detto, perché puoi fare punto anche senza attaccare, per esempio se gli avversari sbagliano, o solo difendendoti bene.
Tornando al suo esordio, Filippo entra in squadra come “centrale”, con un ruolo che comprende sia attacchi rapidi e spesso letali, sia la fondamentale difesa a muro.
Dopo anni di calcio da “punta”, è convinto che l’attacco sia tutto, finché non scopre che il suo ruolo è ben più complesso: di colpo, la sua efficacia non dipende più solo da lui, ma anche dalla precisione dell’alzatore, che a sua volta dipende da come viene ricevuta la battuta dell’avversario.
Nel capire che la palla giusta non sempre arriva, anzi, ecco che comincia a sentirsi frustrato.
Dopo qualche anno, e diversi sfoghi in auto verso casa, mi rendo conto che gli serve una mano, una mano da coach.
La prima cosa a cui penso è il video di Julio Velasco.
Il video in questione è quello in cui il super allenatore (nonchè “maestro” per chi come me ama la crescita personale) parla agli attaccanti, dicendo loro che devono:
imparare a schiacciare bene i palloni alzati male;
smettere di scaricare la responsabilità di un attacco andato a vuoto sulle abilità dell’alzatore di mettere la palla al posto giusto.
Il video gli piace. La chiacchierata col papi-coach pure, ma le cose non migliorano e allora mi torna in mente un’altra frase, sempre di Julio Velasco1: “Si vede sempre quello che manca”.
Dopo qualche altra partita, e qualche altro viaggio di ritorno, capisco infatti che tra il dire e il fare c’è sempre un abisso: non è mica facile schiacciare bene una palla alzata male e Filippo, che gioca da relativamente poco, ha ancora difficoltà a riuscirci. La cosa lo fa imbestialire.
Per aiutarlo davvero, gli dico di concentrasi su quello che può controllare, sulle cose che può cambiare sul serio.
“Lavora su di te, migliora i fondamentali che dipendono da te e non dagli altri. Inizia dalle basi, come il muro o la battuta. Non pensare solo alla schiacciata in attacco.”
Filippo inizia a lavorare sul muro, poi sul tempismo e sull’elevazione per migliorare la difesa. Si concentra sulla battuta. Impara a rilassarsi e concentrarsi per sbagliarne sempre meno. Mese dopo mese, diventa sempre più bravo e proprio grazie alle sue doti fisiche, altezza (non ha preso da me…) e l’elevazione migliora la sua efficacia a muro, iniziando a realizzare più punti che con gli attacchi in prima linea (il “classico” punto del centrale).
I punti messi a segno lo galvanizzano, e aumentano la sua determinazione a migliorare ancora. E così cresce anche la sua autostima.
Passano altri mesi, e mentre io lo vedo vincere sempre più spesso, realizzo che la pallavolo mi sta insegnando una lezione di vita: il muro è una metafora perfetta della resilienza.
Nella pallavolo, come nella vita, i colpi arrivano. A volte anche molto duri.
Non possiamo evitarli, ma possiamo imparare a rispondere, sfruttando le nostre migliori caratteristiche individuali, concentrandoci su ciò che possiamo controllare e accettando con flessibilità quello che non dipende da noi. trasformando ciò che sembra un ostacolo in un’opportunità di crescita.
Nella pallavolo, il muro non è mai passivo. Non serve solo a difendersi, ma è un gesto attivo, che può trasformare l’attacco dell’avversario in un vantaggio. Questa è una grande lezione di resilienza che possiamo applicare nella vita. Le sfide, gli imprevisti e le difficoltà fanno parte del gioco.
Non possiamo fermarli, ma possiamo prepararci a rispondere con lucidità, senza paura e senza lasciarci sopraffare. E, proprio come nella pallavolo, ogni volta che ci opponiamo con determinazione, cresciamo un po’ di più.
La resilienza non è solo una qualità mentale: è una competenza che si riflette su tutto il nostro corpo, incluso il nostro benessere fisico.
Quando affrontiamo meglio gli urti della vita, proteggiamo anche il nostro equilibrio interno.
Questo vale in particolare per l’intestino, che è fortemente influenzato dallo stress.
Un livello di stress cronico o mal gestito può colpire direttamente la salute intestinale, aggravando problemi come gonfiore, dolori addominali o irregolarità. Ma quando impariamo a rispondere alle difficoltà con equilibrio e serenità, lo stress si riduce, e con esso si alleviano anche molti sintomi legati all’intestino.
Allenare la resilienza è quindi una forma di cura per noi stessi, che passa sia dalla mente che dal corpo. E anche nella vita, come nella pallavolo, è importante lavorare su ciò che possiamo migliorare in noi stessi piuttosto che lamentarci delle “palle storte” che non possiamo controllare.
Non potremmo ribaltare sempre a nostro favore gli urti della vita, proprio come un centrale non può bloccare ogni schiacciata. Tuttavia, possiamo migliorare la nostra capacità di rispondere, preservando il nostro benessere psicofisico. Nella vita, le difficoltà arriveranno. Sta a noi decidere come rispondere: lamentarci delle "palle sbagliate" o concentrarci su ciò che possiamo migliorare per affrontare al meglio le sfide della vita.
Filippo, migliorando il suo muro, ha imparato che non tutto dipende da lui. Ha capito che, anche se non sempre arriva la palla perfetta, lui può comunque fare la differenza lavorando su ciò che è sotto il suo controllo2. È un insegnamento che, mi sembra, possa valere per tutti noi.
La frase viene da un'intervista al termine di Italia – Turchia 3-0, semifinale del torneo femminile di pallavolo ai Giochi della XXXIII Olimpiade, 8 agosto 2024; citato in Giuliana Lorenzo, Il miracolo di Velasco è stato far giocare l'Italia come poteva e sapeva fare, rivistaundici.com, 11 agosto 2024.
Proprio nei giorni in cui sto scrivendo l’U17 Zanutta, la squadra in cui milita Filippo, è entrata per la prima volta nella storia della Pallavolo Portogruaro alla fase regionale del campionato U17