Nel tuo cervello c'è un mago che si chiama rete della salienza
Verso il Master in Meditazione e Neuroscienze, la predizione di un giovane farmacista in tema di intestino senza pensieri
La settimana scorsa ci siamo salutati sul più bello della storia: l’iscrizione del “diversamente giovane” farmacista coach al Master di meditazione e neuroscienze dell’Università di Udine.
Quello fu un momento catartico per il Nostro appassionatissimo perché tante delle sue domande avrebbero finalmente trovato risposta. O conferma.
Una su tutte: se la meditazione potesse davvero aiutare l’omeostasi?
La rammentò a sé stesso un’ultima volta nell’aula magna dove il Professor Nerone Scienzi illustrava l’argomento della lezione.
Non si ricordava di aver letto il nome del docente nel programma del master, ma sospettò potesse trattarsi di una sua svista, o forse di una sostituzione all’ultimo momento.
E poi c’era dell’altro: il professore non indossava un solo paio di occhiali, ma addirittura due, l’uno sovrapposto all’altro.
Non erano comparse che le prime lettere della parola che andava formandosi sulle slide al muro, quando il farmacista Gut Brain Coach ebbe un sussulto.
“RETE DELLA SALIENZA.”
Smise di pensare al professore e ai suoi occhiali e si concentrò sulla lezione.
Aveva già letto parecchio sul tema. Sapeva appartenesse alle cosiddette “reti cerebrali”, le trasmissioni neuronali che collegano cervello e intestino e dalle quali dipende molto del dolore che percepiamo.
Ma fu più che mai grato al Professor Scienzi quando iniziò a spiegare come e dove e quando la salienza incide sull'omeostasi, il nostro delicatissimo e bellissimo equilibrio interno. Il luminare ribadì, per esempio, la straordinaria capacità di questa rete nel percepire eventi esterni che ancora non sono accaduti. Non si tratta di vera “preveggenza”, spiegava il Professore, ma di una capacità della rete della salienza di identificare potenziali minacce e “priorizzare” lo stimolo, permettendo al cervello di rispondere rapidamente agli eventi rilevanti.
La salienza ha doti di riconoscimento precoce che identificano le minacce con largo anticipo, registrano i pericoli plausibili e inviano segnali d’allarme al cervello.
Il farmacista prese appunti cerchiando più volte un concetto:
“tutti hanno la salienza, non tutti la percepiscono.”
Era vero. Ogni essere umano possiede questa caratteristica.
La differenza sta nel modo in cui questa caratteristica si manifesta in lui. La salienza varia infatti a seconda del nostro assetto genetico e da quello esperienziale.
Anche le emozioni giocano un ruolo cruciale: alterano infatti la sensibilità di questo sistema “alert”, influenzando la predisposizione di ciascuno di noi a percepire la stessa minaccia in modo diverso.
L’ansia, per esempio, disse il Prof. Scienzi, indicando la sagoma nera di un uomo rannicchiato in un angolo nelle immagini che comparivano alle sue spalle, è in grado di aumentare la sensibilità della rete della salienza, portandola a interpretare stimoli innocui come potenziali minacce. Questo iperallarme, spiegò, contribuisce a mantenere attiva la risposta di stress e amplifica le percezioni del dolore e del disagio, trasformando esperienze quotidiane in vere e proprie fonti di sofferenza.
Per fortuna, in generale, proseguì elargendo poi un ampio sorriso ai suoi studenti, in soggetti sani e in assenza di patologie o eventi gravi, questi segnali tra intestino e cervello avvengono solo a un livello inconscio, senza turbare la nostra omeostasi.
Ma il farmacista pensò ai suoi clienti.
Aveva avuto prova del contrario.
Quante volte li aveva sentiti lamentare dolori acuti e cronici senza alcuna certezza clinica? Poteva essere quello il caso di una salienza iper allarmata?
Alzò la mano per interrogare il Professore sui suoi dubbi.
Si trattava di capire l’importanza del mantenimento di una “modalità predefinita” stabile. Questa “modalità predefinita” (Default Mode Network o DMN) è una rete neuronale attiva quando siamo a riposo mentale o la nostra attenzione non è particolarmente sollecitata, come un “motore in folle” che rimane in stand-by.
La modalità predefinita ci mantiene in omeostasi finché non viene disattivata dalla “rete esecutiva centrale”, che le subentra a gamba tesa nel momento stesso in cui la salienza decide di mandare un segnale di potenziale minaccia al cervello.
Questo avviene se ci troviamo ad affrontare compiti impegnativi o in una situazione emotiva di particolare rilevanza.
È qui che la “rete dell’eccitazione emotiva” dà il meglio - o sarebbe meglio dire il peggio - di sé.
Si tratta delle regioni limbiche, le prime a rispondere agli stimoli emotivi o a situazioni stressanti, modulando la risposta dell’intestino attraverso il sistema nervoso autonomo.
A modalità predefinita persa, con la salienza in allarme e la rete dell’eccitazione emotiva attivata, i segnali che arrivano alla rete centrale autonoma generano altri segnali di ritorno all’intestino sotto forma di stress, coinvolgendo il sistema simpatico e parte di quello parasimpatico.
Omeostasi persa. Game over.
Il quadro era chiaro.
Il disastro annunciato prevedeva sovra-regolazioni praticamente in tutto l’intestino: nella contrazione e motilità, nel tasso di transito, nella secrezione regionale di fluidi, nel flusso sanguigno, nella permeabilità.
Il farmacista sapeva bene cosa voleva dire: aumento della percezione dei segnali tra intestino e cervello, conseguente dolore anormale, disagio, gas e gonfiore. In una parola IBS. Tutto innescato da un “cortocircuito” del dialogo intestino-cervello in cui la salienza, attivata, aveva “spento” la modalità predefinita.
Sullo schermo del suo Mac il cursore lampeggiava sotto le prime righe di lezione, la foga davanti a quanto aveva appena compreso lo costringeva alla vecchia e cara Bic. Evidenziava e ripassava i concetti fondamentali che riassunse in uno schema a cascata:
omeostasi - “modalità predefinita” - soluzione IBS.
Il punto era quindi mantenere lo stato predefinito più a lungo possibile. Ma come?
Le “classiche” soluzioni non davano sempre grandi risultati: restrizioni dietetiche o rimedi da banco, da soli, spesso non erano sufficienti dato che non intervengono direttamente sulle reti cerebrali coinvolte nella percezione del dolore e nello stress.
Esisteva però un’altra possibilità: un approccio integrato che puntasse anche calmare le reti cerebrali attraverso tecniche di regolazione dello stress e di consapevolezza corporea.
Tecniche in grado di “calmare la mente”, come la mindfulness, la respirazione addominale profonda, il rilassamento muscolare progressivo o il training autogeno, risultavano efficaci nel limitare l’attivazione della rete dell’eccitazione emotiva e nel preservare così le delicate regolazioni intestinali.
Questi strumenti, si disse, potevano rappresentare un adeguato completamento ai “classici” consigli destinati alla gestione dell’IBS.
Ora che aveva avuto prova di quanto la Sindrome dell’Intestino Irritabile, su cui si era concentrato in tutti quegli anni, non fosse solo un disturbo intestinale, né una malattia del cervello o un problema psicologico isolato, ma un vero e proprio "cortocircuito" delle interazioni tra cervello, intestino e microbioma, poteva affermare con sicurezza che l’approccio terapeutico più efficace dovesse per forza essere multidisciplinare.
Meditazione, tecniche di rilassamento e supporto emotivo: pratiche che non solo riducevano la reattività del sistema nervoso, ma contribuivano anche a stabilizzare l’omeostasi e a calmare la rete della salienza, riportando equilibrio tra corpo e mente.
Ora sarebbe tornato alle sue consulenze entusiasta di poter fornire ai propri clienti una nuova e sopratutto più efficace soluzione ai loro problemi. Per giunta, senza effetti collaterali.
A un certo punto, mentre il Prof. Scienzi stava chiudendo la lezione, il farmacista Gut Brain Coach sentì chiaramente il trillo potente di una campanella. E subito dopo la voce di sua moglie che gli diceva: “Francesco, amore mio, la spegni o no quella tua cara sveglia?”
– Oh per bacco! – rispose lui - stavo sognando...
O forse no…