Forse non sai che NON esiste una cura contro l’intolleranza ai carboidrati
Intolleranza agli zuccheri e rimedi possibili; perché non serve una cura contro i fastidiosi effetti dell’intolleranza ai carboidrati.
“Scusa, nel purè c’è il latte?”
Esatto: la cura contro l’intolleranza non è ancora stata inventata. Nè contro quella generale, e neppure contro quella clinica.
Parlando in generale, stando all’etimologia del termine, se sei una persona intollerante, potresti non sopportare il freddo, il dolore, le ingiustizie, l’autorità, i pantaloni a zampa, le opinioni diverse dalla tua (l’unica valida), gli accenti che non assomigliano al tuo, le persone diverse da te e dal tuo clan, le credenze e le convinzioni altrui - religioni incluse - l’orecchino al naso, il gergo dei giovani, specie quando ti chiamano boomer, i boomer che ti stanno tra i piedi e ti danno ordini, eccetera, eccetera.
Parlando, invece, in termini più specifici, legati cioè alla sfera clinica, se sei una persona intollerante ai carboidrati, potresti avere un’ipersensibilità a un certo alimento zuccherino, o famiglia di alimenti.
Quanto alla prima forma di intolleranza, l’unico rimedio possibile è la conoscenza, che quasi sempre ci aiuta a fare chiarezza e di conseguenza ad avvicinarci a tutto ciò che ci risultava alieno.
Circa la seconda, NON c’è una cura semplicemente perché NON serve, visto che l’intolleranza ai carboidrati è molto meno pericolosa di quanto pensi. Soprattutto se non sai con certezza cosa sia.
Cos’è l’intolleranza ai carboidrati?
Innanzitutto facciamo un po’ di luce su cosa sia davvero l’intolleranza ai carboidrati.
Chiamiamo intolleranza alimentare una forma di allarme che il tuo organismo lancia per dirti che alcuni gruppi di cibo non gli vanno giù. O meglio, che certi alimenti vanno giù e poi tornano su. Si ripresentano, e tornano per tormentarti con uno o più fastidi che ti fanno pentire di averli mai comprati, impiattati oppure ordinati e quindi ingeriti.
Ne abbiamo parlato in questo post.
Come capire se sei davvero intollerante ai carboidrati?
Se ti accorgi che alcuni cibi zuccherini (latticini con lattosio, frutta, bevande e dolci con fruttosio, alcune verdure, grano, fagioli, ecc.) ti provocano un sacco di gas e gonfiore, potrebbe trattarsi di SIBO.
SIBO?
Small Intestine Bacterial Overgrowth, super crescita batterica dell’intestino tenue che può portare uno o più degli sgradevoli effetti che seguono:
gonfiore addominale basso, sotto l’ombelico, dopo ogni pasto e spesso a prescindere da cosa mangi;
crampi fastidiosi e/o dolorosi;
un sacco di gas che deve uscire e quando lo fa è davvero puzzolentissimo;
feci che cambiano colore (un tono di marrone più chiaro, o più aranciato del solito che fa pandant con l’autunno ma non è che sia proprio uno spettacolo) e consistenza (cacca appiccicosa che si spalma ovunque invece di scivolare via come al solito);
evacuazione che lascia prurito e fastidio, come se espellessi roba piccante
Per approfondire la SIBO, se pensi di averla, ti consiglio di leggere:
Torniamo al punto.
Le cure contro l’intolleranza ai carboidrati NON esistono.
…Perché non servono.
Essere intolleranti a un certo tipo di carboidrato non è certo piacevole, ma non è affatto pericoloso.
Rispetto all’allergia, ricordati che anche se l’intolleranza è fastidiosa, non è dannosa per la tua salute. Per questo, per arginarla puoi:
A) limitare i cibi “trigger”, cioè quelli che ti provocano effetti spiacevoli;
B) aiutarti con enzimi da banco.
Smettere di mangiarli
Se il gas e le conseguenze provocate dall’ingestione di un carboidrato specifico ti risultano intollerabili, la soluzione è davvero banale, come da titoletto.
Non mangiarlo, punto.
Se invece decidi di mangiarlo comunque, tieni conto che gli effetti spiacevoli dipenderanno dalla quantità: come si narra dicesse il celeberrimo maresciallo Jacques II de Chabannes de La Palice, più ne mangi, e peggio ti senti.
Mangiarli, mangiando anche qualche integratore
Okay, se non puoi proprio farne a meno, o magari sei in una di quelle situazioni sociali in cui ti scoccia fare domande a chi ha cucinato, considera la possibilità di assumere qualcosa che ti aiuti a digerire ciò che stai per ingurgitare.
Integratori di lattasi
Xilosio isomerasi
Alfa-galottosidasi
Gli integratori di lattasi servono a supportarti nell’assorbimento del lattosio. Mastichi una compressa al primo boccone del cibo “frigger” e gli enzimi nella compressa ti danno una mano col lattosio. Leggi sempre il bugiardino, e fa’ attenzione agli ingredienti, evitando quelli che finiscono in “olo”, perché alcune compresse masticabili contengono un alcol di zucchero (ne abbiamo parlato qui) che di per sé potrebbe farti produrre un sacco di gas.
Lo xilosio isomerasi è tra quelli più recenti e promette di trasformare il fruttosio in un glucosio, che di norma si digerisce con meno difficoltà.
L’Alfa-galattosidasi è un enzima utile quando il gonfiore deriva da alcuni cibi ad alta fermentazione (come i fagioli, i parenti del cavolo, alcune noci, i pistacchi, eccetera). Per gli Alfa, vale la stessa raccomandazione degli integratori di lattasi, visto che alcuni contengono alcoli di zucchero.
E la papaia? E l’ananas?
“Ho letto che la papaia e l’ananas sono utili contro le intolleranze ai carboidrati. E poi sono naturali…”
Il fatto che papaina e bromelina derivano da qualcosa di naturale potrebbe farteli preferire a un prodotto da banco. La papaia è buonissima e l’ananas sgrassa, peccato che nessuno dei due sia anche solo vagamente efficace contro le intolleranze ai carboidrati.
E come loro, in quanto frutti, nemmeno gli enzimi/integratori da essi derivanti, come la papaina (della papaia) e la bromelina (dell’ananasso).
La ragione è semplicissima: gli enzimi che derivano dalla frutta sono utili per digerire le proteine, NON gli zuccheri. Nessuno dei due, infatti, può scindere una molecola di lattosio, trasformando il fruttosio in qualcosa di più digeribile o scomporre le fibre vegetali gassose.
Esistono rimedi “naturali” contro l’intolleranza ai carboidrati?
Quando sento l’aggettivo “naturale” una parte di me inizia ad agitarsi. Se non la calmo, c’è addirittura il rischio che quella parte diventi intollerante.
Giusto qualche giorno fa, proprio su questa piattaforma, ho letto un post di Roberta Villa sul tema degli integratori1, che tra le altre cose parlava anche del suddetto aggettivo “naturale” e del fatto che sempre più persone preferiscano il naturale all’industriale.
[…] “la scelta di prodotti “naturali” invece che farmaci di provata efficacia e qualità garantita è facile da spiegare.
È istintivo per ciascuno di noi, che viviamo in una civiltà industrializzata, lontano dal contatto con gli aspetti più inquietanti della natura, tutto ciò che è etichettato come “naturale” e percepire come più pericoloso ciò che proviene dal mondo dell’industria.
Il resto lo fa la diffidenza verso big pharma “che guadagna sulle malattie” (come se il giro d’affari di miliardi che ho appena descritto non avesse a sua volta un importante impatto economico)”.
Roberta Villa
Ecco due concetti chiave:
“naturale” non significa sicuro;
così come “industriale” non vuol dire “pericoloso”.