Come ogni mattina, dal lunedì al venerdì, tra le dieci e le dieci e trenta, B. chiede a R. “Ci facciamo un caffè?”, prima di andare a prepararlo, oppure di aspettare che vada R., cosa che di norma succede la metà delle volte. A questo punto, di solito R. dice “perché no”, ma non oggi.
Già nel girarsi verso B., si vede che oggi c’è qualcosa che non va e infatti poco dopo gli dice che non ha nessuna voglia di caffè, tantomeno di andare a farlo.
– Okay, nessun problema – ribatte B. salvo accorgersi quasi subito che R. ha appena sbuffato.
– Non ho voglia – dice R., e dal tono che usa sembra che abbia un diavolo per capello.
– Okay, come non detto.
– Non ho voglia di andare a farlo – insiste R. – E non ho neanche voglia che ci vada tu.
– Guarda che vado volentieri, non è un problema – butta là B., accorgendosi che R. ha la gola e le tempie arrossate, e lo sguardo carico di rabbia.
– E invece sì che è un problema! – scoppia R. – È un problema eccome!
– Scusa? Perché è un problema? E cosa? – B. non capisce: sono anni che a metà mattina, tra le dieci e le undici, bevono il caffè. Un giorno lo prepara B. e il giorno dopo R. e quello dopo ancora B. e via andare, un po’ per uno.
– Il problema - risponde R. alzando la voce man mano – è che se hai voglia di un caffè, ti alzi e vai a fartelo. Non lo chiedi a me, non me lo devi chiedere proprio. Se hai voglia, vai e basta.
– Okay, okay… – prova a mediare B.
– Okay niente. Io non sono la tua schiava Isaura!
La situazione si fa sempre più ambigua: il cervello di B. parte in loop a chiedersi cosa sia successo, peccato che B. (B. di Batman!) non possa saperlo perché non lo sa nemmeno Robin.
Batman e Robin prendono lo stesso caffè alla stessa ora, tutte le mattine, da ben 83 anni, ossia dall’uscita del numero 38 della rivista “Detective Comics”, per la quale sono entrambi impiegati full time. E la domanda che precede il loro caffè è sempre la medesima. Il punto è che qualunque cosa avesse detto Batman, questa mattina Robin si sarebbe indispettito, perché oggi gli gira male. Neanche lui ha idea del perché: è solo più suscettibile del solito, parecchio più suscettibile.
Forse il famoso piede sinistro con cui a volte ci svegliamo?
Forse una mattina partita storta?
E se invece fosse questione di pancia?
Se le nostre reazioni agli eventi e alle cose che viviamo fossero legate a come stiamo dentro più di quanto non siano a quello che ci tocca da fuori?
Possiamo togliere il condizionale: lo sono.
Le nostre reazioni, ovvero quelle che chiamiamo “emozioni”, si manifestano e cambiano in base a come stiamo dentro. In pratica, i nostri comportamenti - i modi con cui reagiamo agli eventi - dipendono in larga parte dal nostro bilancio corporeo.
Bilancio corporeo?
Per semplificare, consideriamolo come il bilancio profitti-perdite del nostro corpo: un documento invisibile e non direttamente percepibile che tira le somme di quello che sta succedendo dentro di noi.
Il bilancio corporeo è un po’ come il bilancio di una società ma a differenza di quelli pubblici, il nostro non viene diffuso e non è consultabile se non dal nostro cervello, ossia dalla nostra torre di controllo che 24 ore su 24, sette giorni su sette, dal primo respiro all’ultimo, continua ad aggiornare il suddetto bilancio e a regolarsi di conseguenza.
In questo bilancio corporeo ci sono tutti i dati sugli eventi che abbiamo già vissuto, più quelli che stiamo sperimentando in tempo reale, e addirittura una serie di previsioni di breve, medio e lunghissimo termine.
Buona parte di tali informazioni riguardano l’equilibrio, o meglio il nostro impegno costante a ripristinare gli equilibri che sono venuti a mancare nei nostri diversi apparati, funzioni e organi.
A sua volta, il nostro equilibrio globale dipende dall’equilibrio delle singole componenti: un po’ come dire che il successo di una squadra dipende dalla performance dei singoli elementi del team.
Nel caso del nostro corpo, il team è composto da un numero così alto di membri che la mente umana non riesce a visualizzarli. Stiamo parlando di 69 trilioni di elementi: 30 trilioni di cellule e 39 trilioni di batteri.
Se 30 trilioni di cellule lavorano all’unisono per il nostro benessere, 39 trilioni di batteri lavorano prima per il loro benessere e poi, se stanno bene loro, per il nostro.
I batteri sono il microbiota che coabita con noi, dentro la nostra pancia, e si nutre delle nostre scelte. Non solo alimentari. Se lo nutriamo nel modo corretto, il microbiota si mantiene in equilibrio (in eubiosi). Se non gli diamo varietà e riposo, se non ce ne prendiamo cura, se siamo tormentati dallo stress cronico e dai brutti pensieri, il microbiota si avvicina alla disbiosi.
Eubiosi= okay
Disbiosi= non okay.
L’equilibrio della - e nella - nostra pancia è così importante che quando comincia a mancare, la nostra vita peggiora di colpo. A volte dalla sera alla mattina.
Cominciamo a non digerire bene? A far fatica a fare la cacca? O a non farla in continuazione?
Dormiamo meno e ci svegliamo ogni mattina un po’ più stanchi?
Ci sentiamo meno interessati a quello che fino a ieri ci piaceva?
Siamo meno motivati?
Ci arrabbiamo o diventiamo tristi più facilmente?
Ci basta un niente per indispettirci (come succede a Robin della storiella)?
Può essere la pancia: un disequilibrio nel microbiota può portare conseguenze a tutto tondo sulla nostra esistenza, perfino peggiorare il nostro umore e farci vivere male qualcosa che fino a ieri, invece, ci stava benissimo.
Possibile?
Sì, perché l’intestino è il nostro secondo cervello.
E se da qualche anno, la nostra “pancia” ha un nuovo nome è perché le correlazioni tra intestino e cervello, tra l’apparato gastrodigerente e la “torre di controllo”, sono più strette di quanto credevamo.
Per approfondire:
"Intestino senza pensieri" - Sperling & Kupfer
"Come sono fatte le emozioni" - Lisa Feldman Barrett
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Nel prossimo articolo, titolo:
Intestino: perché lo chiamiamo “secondo cervello”