Due cervelli?
Uscendo dall’ufficio postale, Il professor Michael D. Gershon si tirò su il bavero del loden e si incamminò verso la vecchia Buick parcheggiata poco lontano. Raggiunse l’auto, la fece partire gustandosi il ruggito e i piccoli scoppiettii del motore e guidò fino alla Columbia University dove passò il resto della giornata tenendo diverse lezioni e discorrendo amabilmente con i colleghi e gli studenti.
Solo quando arrivò sera, e il professore fece ritorno a casa, si ricordò della busta che aveva ritirato in posta, una raccomandata urgente, ancora chiusa nella tasca interna del loden, e nel rendersi conto di non averci affatto pensato fino a quel momento, né - soprattutto - di aver ricevuto chiamate dalla moglie, gli venne da ridere. La sua signora era seduta in poltrona, intenta a leggere le bozze dell’ultimo manoscritto del marito e come il professore, sembrava essersi completamente scordata della missiva urgente.
La busta che il professore aveva ritirato in posta era indirizzata a lei e conoscendo bene sua moglie pensò che fosse molto strano.
Lei alzò la testa, appoggiò il plico di fogli, e gli chiese cosa lo stesse facendo ridere.
“Rido perché non mi hai telefonato” disse lui “e non è da te, visto che ho ritirato la tua raccomandata, cara, e in tutto il giorno nessuno dei due ha pensato a cosa contenesse…”
Da diverse settimane, i coniugi Gershon avevano adottato una serie di buone abitudini che stavano già migliorando la qualità delle loro vite: facevano la spesa al mercato, comprando cibo fresco da produttori locali, dormivano più a lungo, al risveglio facevano qualche esercizio di respirazione e un po’ di ginnastica, e almeno una volta al giorno passeggiavano per una mezz’ora insieme.
In meno di un mese, il professore e la sua signora si erano già dimenticati di una vita intera di ansie, preoccupazioni e mal di pancia ricorrenti. Erano entrambi ansiosi, i due coniugi: lui in perenne stato di allerta (e non solo di fronte alla comunità scientifica, ma per tutto) e lei affaticata da un temperamento catastrofista che la portava a temere drammi ogni tre per due.
Se la “vecchia” signora Gershon avesse ricevuto l’avviso di una raccomandata urgente, e se a ritirarla fosse andato il marito, lei di certo avrebbe cominciato a telefonare in facoltà fin dalle prime ore dal mattino. Allo stesso modo, se il “vecchio” professore fosse andato a prendere la raccomandata, l’avrebbe aperta subito, senza nemmeno aspettare di aver raggiunto la Buick.
Nessuno dei due avrebbe mai fatto passare una giornata intera senza pensarci, eppure, a quanto pare, il ritrovato equilibrio della loro flora intestinale era stato capace di produrre effetti benefici anche sull’equilibrio emotivo.
Il professore ripetè che per tutto il giorno nessuno dei due aveva pensato al, né si era preoccupato del contenuto della busta.
La signora ammise che suonava bizzarro, per entrambi, ma che aveva senso.
“È proprio vero” gli disse.
“Cosa, cara?” chiese lui.
“Quello che hai scritto nel libro, la teoria dei due cervelli: è tutto vero! E il tuo libro, Miky, cambierà il mondo!”
La teoria e la pratica dei due cervelli
Due cervelli: uno sopra il collo, l’altro dietro l’ombelico.
Nel 1998 il professor Michael D. Gershon, docente alla Columbia University, pubblica “Il secondo cervello”, un saggio con il quale presenta la teoria dei due cervelli e spiega perché l’intestino sia il secondo.
Perché l’intestino è il secondo cervello?
Innanzitutto, secondo il professor Gershon, perché nelle nostre pance sono presenti oltre cento milioni di neuroni che regolano stress, ansia, e tensione.
E poi, stando alle ricerche e alle scoperte da allora a oggi, perché insieme a noi, nel nostro intestino, abitano circa 39 trilioni di batteri (che chiamiamo “microbiota”) a loro volta responsabili - tra le altre cose - della produzione di serotonina.
Serotonina?
L’ormone del benessere, quello che quando c’è ci fa sprizzare serenità da tutti i pori, e quando manca ci toglie il buonumore, la voglia di uscire, e perfino - nei casi più gravi - la voglia di vivere.
La relazione pancia-testa, ufficialmente nota come “asse intestino-cervello”, è stretta, molto stretta perché il benessere dei nostri cervelli è regolato dall’equilibrio.
L’equilibrio del nostro secondo cervello dipende dall’equilibrio della flora che lo popola, vivendo in simbiosi con noi. Quindi da come stiamo noi, dipende come sta lei e viceversa.
Non è tutto: è stato dimostrato che l’equilibrio del nostro primo cervello dipende anche dall’equilibrio del secondo, ovvero dall’intestino.
Il benessere del nostro intestino dipende in primo luogo dalla qualità della nostra vita, e quella, a sua volta, dipende dalla qualità delle nostre abitudini.
Basta cambiarle quindi?
Per ritornare a stare bene, sul serio, basta cancellare le brutte abitudini con un colpo di spugna? Mettere un freno agli anni da rockstar e iniziare a prenderci cura di noi?
Basterà dire “da domani, basta divano. Si va a correre. Da domani, basta patatine. Da domani, basta ore piccole. Da domani, basta stress”?
Probabilmente no, non sarà sufficiente a risistemarci pancia e cervello, riportandoci all’equilibrio perduto.
L’equilibro del microbiota dipende da cosa diamo da mangiare ai nostri batteri, da come li trattiamo, dalla consapevolezza che abbiamo di loro e della strettissima relazione tra il loro benessere e il nostro.
Dipende solo dall’alimentazione?
No. In realtà, dipende da una moltitudine di fattori tra i quali il cibo è solo una parte. Oltre a ciò che mangiamo, conta come e quanto (e quanto bene) dormiamo, quanto ci muoviamo, e addirittura cosa pensiamo.
L’equilibrio del microbiota funziona in generale come quello del nostro organismo, ossia attraverso un sistema di relazioni continue tra sopra e sotto, dentro e fuori, materiale e immateriale.
I nostri pensieri hanno effetti sul fisico, e il corpo ha effetti sulla qualità e sulla natura dei nostri pensieri, addirittura sull’umore.
Le cose in cui crediamo disegnano il mondo per come lo vediamo.
Il mondo che ci siamo abituati a riconoscere determina il modo con cui ci comportiamo.
Il modo con cui ci comportiamo (ossia i nostri atteggiamenti ripetitivi e addirittura le nostre emozioni) fanno sì che il mondo - le altre persone - ci considerino e quindi ci trattino per come ci mostriamo, confermando così le nostre convinzioni (quali che siano).
Per approfondire: “Il secondo cervello” - UTET
… E nel prossimo post vedremo perché, secondo la scienziata Lisa Feldman Barrett, buona parte di ciò che crediamo sulle nostre emozioni è sbagliato.