Digiuno intermittente, ritmi circadiani e batteri che ci fanno ingrassare
Come nutrire il microbiota per smetterla di fargli "mobbing" e guadagnare un sacco
Noi ci vediamo come individui.
“Io sono io e tu sei tu”.
Ma ci vediamo anche come parti: corpo e psiche, organi, sistemi, cellule.
E se pensiamo a quante siano le parti che compongono il nostro tutto, con un pizzico di immaginazione, riusciamo a immaginarci anche come un’azienda. Una grande, grandissima azienda, fatta di una settantina (abbondante) di trilioni di collaboratori.
Ormai sappiamo che in quest’impresa abbiamo più di un cervello e che il “secondo” – ma non certo in ordine di importanza – sta ai piani bassi, e che da laggiù dà una mano all’intero palazzo.
Il microbiota che coabita nel nostro intestino non si occupa solo della digestione e dello “smaltimento dei rifiuti”: contribuisce al nostro umore, al sistema immunitario, così come a quello endocrino, e lo fa attraverso un sistema di comunicazione costante tra i diversi piani del palazzo, lungo quello che abbiamo imparato a chiamare “asse intestino cervello”.
Insieme all’attico, l’intestino è anche incaricato di una funzione connessa al nostro orologio biologico.
Chi controlla il nostro timer interno?
Proprio come le grandi aziende che hanno imponenti consigli di amministrazione e non uno, ma due CEO con firma congiunta, anche il ritmo circadiano della nostra impresa è infatti regolato da due team:
- il cosiddetto “pacemaker” che sta nel nucleo soprachiasmatico ipotalamo (“SCN”);
- il sistema dell’orologio biologico periferico, che comprende principalmente muscoli, tessuto adiposo, fegato e intestino.
All’interno del secondo team, come dicevamo, c’è il microbiota, una divisione popolata da diversi trilioni di batteri che vivono in simbiosi con il resto di noi.
In questa simbiosi, mentre noi ci affanniamo per aumentare le performance, i redditi e comprare più cose dei nostri vicini, o dei nostri follower, il microbiota sogna solo l’eubiosi, ovvero l’equilibrio.
È quella la sua unica “mission”, il solo scopo che persegue, da mattina a sera, H24, sette giorni su sette. Il grande valore di tale mission consiste nel fatto che l’eubiosi intestinale contribuisce al benessere di tutto il resto del nostro organismo.
Il problemuccio è che mentre il microbiota si impegna per raggiungere il suo/nostro obiettivo, noi non solo non lo aiutiamo, ma gli facciamo addirittura mobbing. Come?
Per esempio, rendendo invivibile il suo ambiente: dormiamo e ci muoviamo meno di quanto dovremmo, ci (e quindi lo) nutriamo con le prime cose incellofanate che troviamo in frigo e infine lo costringiamo spesso, anzi spessissimo (ascoltando le persone che incontro in farmacia) a vivere sottoposto a stress cronico.
In pratica, costringendo il nostro microbiota alla disbiosi.
Il microbiota è vivo. Essendo vivo, mangia. E, siccome mangia ed è vivo, anche il microbiota ha un suo orologio biologico. In pratica si nutre e funziona secondo ritmi specifici che hanno a che vedere con la luce esterna, pur non “vedendola” affatto!
La differenza tra noi e il microbiota è che noi possiamo scegliere cosa mangiare e quando, mentre i nostri batteri no. A loro tocca sopportare le nostre scelte, facendo del loro meglio per riportare equilibrio in un ambiente che noi avveleniamo con nonchalance.
Ceniamo tardi perché lavoriamo troppo?
Mangiamo cibi pronti perché sono più veloci (nonché economici)?
Ci ingozziamo ben oltre il tramonto e poi filiamo a letto subito?
Pazienza, diciamo noi, senza considerare che più della metà dei nostri collaboratori ne soffrono.
Da quando nasciamo a quando rientriamo nel ciclo della vita, per circa quattromila settimane, siamo schiavi del tempo e di tutti gli orologi che scandiscono le nostre esistenze. Di tutti, tranne uno: il nostro, quello interno, che regola i ritmi fisiologici.
Proprio per insegnarci a guidare un pochino meglio i tempi della nostra “azienda”, di recente è nata una nuova scienza, la crononutrizione.
Crononutrizione?
Si tratta di una scienza che integra cronobiologia e nutrizione e che potrebbe aiutarci a smettere di fare mobbing al nostro intero organismo, microbiota compreso.
Sempre più studi evidenziano l’influenza dei ritmi circadiani sulla composizione del microbiota intestinale, considerando che più della metà della composizione microbica totale fluttua ritmicamente durante il giorno.
Ma c’è di più.
Si è inoltre visto che gli stessi microbi intestinali sono in grado di sincronizzare il nostro orologio biologico attraverso segnali di diversa natura, portando alla luce una comunicazione bidirezionale tra i ritmi circadiani e il microbiota intestinale.
Sulla base delle attuali evidenze, si osserva infatti che un disallineamento dei ritmi circadiani è intimamente legato a cambiamenti nell'abbondanza e nell'efficienza del microbiota intestinale. Questo fenomeno può portare a impatti negativi sulla salute, inclusa una maggiore probabilità di sviluppare varie malattie quali disturbi cardiovascolari, cancro, sindrome dell’intestino irritabile e depressione.
Ripetiamo insieme: “In Gut We Trust”!
1Un ruolo chiave nel mantenimento dell’equilibrio tra ritmi circadiani e microbiota intestinale sembra perciò essere attribuibile:
ai tempi e alla qualità dei nostri pasti;
ad alcuni metaboliti microbici, in particolare agli acidi grassi a catena corta.
Siccome i nostri “orologi periferici” non possono vedere le variazioni di luce esterna (visto che si trovano nel fegato, nel pancreas e nel tratto gastrointestinale), il momento in cui mangiamo diventa il loro principale sincronizzatore: quando mangiamo tardi, rischiamo di incasinarli, il che porta “disordine” anche nella regolazione endocrina, ovvero nella produzione di ormoni.
Questo perché la nostra fisiologia quotidiana è costituita da due fasi:
una fase attiva, che inizia alle ore 10;
una fase di riposo, che inizia alle ore 22.
Come ci spiega la dottoressa Barbara Isidoro2, responsabile del Centro Studi Probiotica e Nutrizione di Trieste: “L’alternanza di queste due fasi regola le oscillazioni di diversi ormoni coinvolti nella regolazione metabolica, molti dei quali di picco durante la fase attiva”.
Mangiare nelle ore serali, continua la dottoressa, “è in contrasto con il ritmo dell’orologio interno e può causare crono-disturbi. In questo scenario risulta più interessante la “time limited feeding” (TRF), definita come il consumo della quantità desiderata di cibo da parte di una persona o di un animale durante una specifica finestra di tempo”.
“TIME LIMITED FEEDING” non vi dice nulla?
E se invece dicessi “digiuno intermittente”?
Studi recenti sembrano dimostrare che il digiuno intermittente potrebbe invertire molte conseguenze metaboliche dannose e influenzare positivamente la struttura della comunità microbica intestinale.
Come?
Ridurre la finestra temporale durante la quale mangiamo, pare possa:
diminuire l’eccesso di diversi microbi presunti obesogeni3 come le specie Lactobacillus e Lactococcus;
facilitare l’abbondanza di batteri protettivi documentati, come gli Oscillibacter e altre Ruminococcaceae.
In pratica?
Per dare una mano all’orologio del nostro microbiota, possiamo:
cenare presto, prima possibile;
preferire cibi preparati in casa, ridurre gli zuccheri complessi e i grassi;
andare a letto almeno due ma meglio tre ore dopo aver mangiato;
tenere la bocca “chiusa” per almeno dodici-quattordici, ancora meglio sedici ore;
fare colazione dopo le dieci del mattino, provando gradualmente ad allungare le ore di digiuno tra l’ultimo pasto della sera e il primo della giornata.
Che ne dite, approfondiamo?
Fatemi sapere se vi interessa parlare di digiuno intermittente e se l’avete mai provato.
Di equilibrio della flora batterica e quindi di salute, benessere, ecc. ecc.
“obesogeni” - aggettivo qualificativo che indica la spiacevole tendenza a farci lievitare come soufflé!